#ONU: chiede a 57 paesi rimpatri dai campi siriani nel pieno rispetto dei diritti umani

08.02.2021

Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite si è detto preoccupato per il grave deterioramento delle condizioni umanitarie e di sicurezza nei campi di Al-Hol e Roj per sfollati e rifugiati anche interni, che ospitano più di 64.000 persone nel nord-est della Siria; sottolineando che migliaia di persone vivono (ma in realtà sono detenute) in campi esposte a violenza, sfruttamento, abusi e privazioni in condizioni che potrebbero equivalere a tortura e trattamenti inumani o degradanti ai sensi del diritto internazionale; visto che un numero indeterminato di persone è già morto. C'è bisogna di un'azione collettiva, sostenuta e immediata per evitare danni irreparabili.

Al-Hol è il più grande campo per rifugiati e sfollati interni in Siria, oltre l'80% sono donne e bambini. Sono necessarie misure urgenti in quanto i rapporti delle violenze dall'inizio dell'anno sono in aumento; per rispettare i diritti umani, quindi di conseguenza i singoli soggetti, bisogna ricercare la verità e fare giustizia. La detenzione permanente donne e bambini con argomenti poco chiari danneggia anche il progresso della responsabilità, della verità e della giustizia.

Gli esperti hanno asserito: "Gli Stati sono i principali responsabili dell'esecuzione dei dovuti controlli e dell'adozione di misure concrete ed efficaci per proteggere le persone in situazioni di vulnerabilità, in particolare donne e bambini, che si trovano al di fuori del loro territorio dove rischiano di subire gravi violazioni o abusi di diritti umani, quando le azioni o le omissioni degli Stati possono avere un impatto estremo sui diritti umani di queste persone".

Per questo motivo gli esperti dell'ONU hanno invitato 57 paesi ad avviare il processo di rimpatrio nel rispetto dei diritti umani per i loro connazionali ora nei campi profughi siriani; evitando ogni azione che li esponga ad altri soprusi quando torneranno nelle loro case. Il loro reinserimento dev'essere sostenuto attraverso un adeguato supporto sociale, psicologico ed educativo.

Allo stesso tempo hanno espresso la loro preoccupazione per il processo di raccolta dei dati personali poiché sono stati raccolti da donne e bambini in condizioni che non consentivano di ottenere volontariamente il consenso, né in circostanze in cui era chiaro chi avrebbe accesso a tali dati e come potrebbero essere utilizzati. Gli esperti temono che tali operazioni effettuate in questo modo alquanto discutibile, possano servire ad identificare i cittadini di paesi terzi che potrebbero rappresentare un rischio per la sicurezza, reperire informazioni che potrebbero essere comunicate e successivamente utilizzate come base per decidere la successiva linea di condotta per i loro cittadini in parte degli Stati di origine.

Le suddette operazioni non sono conformi ai normali standard, si sono concentrate solo sulle famiglie con sospetti legami con combattenti stranieri del Daesh; comprese donne e bambini, che già soffrono di una maggiore discriminazione, emarginazione e abuso a causa della loro presunta affiliazione al gruppo terroristico.

Fonte:

https://news.un.org/es/story/2021/02/1487732  

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