Violazioni dello spazio aereo NATO: diritto internazionale, rischi e scenari futuri

Negli ultimi mesi le violazioni dello spazio aereo dei Paesi membri della NATO si sono moltiplicate. Droni non identificati, caccia con transponder disattivati, sconfinamenti in aree sensibili non sono meri incidenti, ma condotte che mettono in discussione la sovranità nazionale e la sicurezza collettiva. Analizzare questi episodi significa intrecciare diritto internazionale, regole militari e scenari geopolitici.
Il principio cardine è sancito dall'articolo 1 della Convenzione di Chicago del 1944: "Ogni Stato ha la sovranità completa ed esclusiva sullo spazio aereo sopra il proprio territorio". Nessun velivolo straniero può entrarvi senza autorizzazione, salvo emergenza o forza maggiore. La violazione costituisce un atto ostile e può legittimare proteste diplomatiche o, nei casi più gravi, risposte difensive. Diversa è la disciplina dello spazio extra-atmosferico, regolato dal Trattato del 1967 come patrimonio comune dell'umanità.
La NATO ha istituito un sistema permanente di Air Policing: velivoli in prontezza operativa (Quick Reaction Alert) decollano per intercettare aerei sospetti, identificarli, stabilire contatti radio e scortarli fuori dallo spazio violato. Solo in casi estremi, nel rispetto delle regole di ingaggio nazionali e dell'articolo 51 della Carta ONU, può essere autorizzato l'abbattimento.
Gli episodi recenti mostrano la gravità del fenomeno. In Polonia, tra il 9 e il 10 settembre 2025, diciannove droni russi hanno violato lo spazio aereo costringendo Varsavia a invocare l'articolo 4 del Trattato NATO. In Estonia tre MiG-31 russi hanno sorvolato il territorio per oltre dieci minuti senza piano di volo né transponder. La Lituania ha autorizzato l'abbattimento dei droni anche senza minaccia immediata, suscitando interrogativi di compatibilità con il diritto internazionale. La Danimarca e la Romania hanno segnalato droni non identificati nei pressi di infrastrutture critiche e aeroporti. La risposta dell'Alleanza è stata l'operazione Eastern Sentry, con rinforzo di assetti aerei e navali lungo il fianco orientale.
Dietro queste violazioni emergono finalità precise. Testare i tempi di reazione e le difese. Intimidire gli Stati più esposti geograficamente. Logorare economicamente la NATO, poiché un drone costa poche migliaia di euro mentre un decollo di intercettori centinaia di migliaia. Condurre una forma di guerra ibrida che non si dichiara apertamente ma mina la percezione di sicurezza collettiva.
Il rischio maggiore è l'escalation involontaria. Un abbattimento errato potrebbe essere interpretato come atto di guerra. La giurisprudenza internazionale, seppur limitata, conferma la delicatezza del tema: nella sentenza Nicaragua vs. USA del 1986, la Corte Internazionale di Giustizia ha condannato l'uso della forza non autorizzata come violazione della sovranità. Ogni Stato si muove così su un crinale stretto tra il dovere di difesa (articolo 52 della Costituzione italiana, principio di solidarietà atlantica) e il divieto di uso della forza sancito dall'articolo 2, paragrafo 4, della Carta ONU.
Le risposte possibili sono diverse. Rafforzare i sistemi anti-drone e la sensoristica radar. Rivedere le regole di ingaggio per consentire decisioni rapide ma proporzionate. Incrementare la cooperazione tra NATO e Unione Europea, specie per la protezione delle infrastrutture critiche. Affiancare alle misure militari la leva diplomatica e sanzionatoria per scoraggiare condotte reiterate.
Le violazioni dello spazio aereo non sono episodi casuali, ma messaggi politici e prove di forza. Il diritto internazionale sancisce l'inviolabilità della sovranità, ma applicarlo in concreto è difficile senza scivolare nell'escalation. La sfida per la NATO e per ogni Paese membro sarà difendere i propri cieli entro i limiti del diritto, con fermezza, proporzionalità e cooperazione, per evitare che la provocazione si trasformi in conflitto aperto.