Tutela dell’ambiente e responsabilità statale: la svolta della ICJ nel caso n. 187 (2025)

Nel contesto del diritto internazionale contemporaneo, l'opinione consultiva resa dalla Corte Internazionale di Giustizia il 23 luglio 2025 nel caso n. 187, Obblighi degli Stati in materia di cambiamento climatico, segna un momento cruciale nella progressiva giuridicizzazione della tutela ambientale. Pur non avendo effetti vincolanti in senso stretto, trattandosi di un parere richiesto dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tale pronuncia ha un'autorità normativa che va ben oltre il valore meramente orientativo. La Corte ha affermato che l'obbligo di prevenire danni ambientali significativi ha natura consuetudinaria e dunque vincolante per tutti gli Stati, indipendentemente dalla ratifica di trattati specifici, richiamandosi a strumenti internazionali quali la Dichiarazione di Rio (Principio 21), la Convenzione UNCLOS (art. 194), l'Accordo di Parigi e la Convenzione di Stoccolma del 1972.
Ciò che emerge è una conferma del principio di prevenzione e del principio di precauzione come cardini del diritto ambientale internazionale, già oggetto di consolidata prassi e giurisprudenza (si veda Pulp Mills, ICJ 2010). L'omissione di misure idonee può costituire una violazione autonoma, fonte di responsabilità internazionale ai sensi degli articoli 1-2 e 30-31 del Progetto CDI sulla responsabilità dello Stato (2001). La Corte ha inoltre evidenziato che gli Stati hanno obblighi non solo sostanziali, ma anche procedurali, tra cui valutazioni di impatto ambientale (EIA), informazione pubblica, consultazione e cooperazione in buona fede.
Il valore sistemico di questa pronuncia si comprende appieno alla luce dei richiami a precedenti autorevoli come l'opinione OC-23/17 della Corte Interamericana dei Diritti Umani e il parere del Tribunale per il diritto del mare (2023), che avevano già ricondotto il diritto ad un ambiente sano al novero dei diritti umani fondamentali. La tutela ambientale assume così una funzione strutturale, con rilevanza intergenerazionale, all'interno di un diritto internazionale orientato alla sostenibilità e alla solidarietà globale.
⚖️ Box chiarificatore
🟩 Opinione consultiva = non vincolante, ma autorevole
L'opinione della ICJ del 2025 è formalmente non vincolante perché rientra nel novero delle advisory opinions richieste da organi delle Nazioni Unite. Tuttavia, ha valore giuridico sostanziale perché:
interpreta norme di diritto internazionale consuetudinario (che sono vincolanti);
orienta la prassi giurisprudenziale e le decisioni degli organi internazionali;
rafforza l'interpretazione obbligatoria di trattati multilaterali vigenti.
In diritto, non tutto ciò che non è vincolante è privo di efficacia: questa opinione contribuisce attivamente alla formazione del diritto internazionale ambientale.
Ciò che emerge dalla sentenza non è solo un rafforzamento del principio di prevenzione – inteso come dovere positivo di agire per evitare danni ambientali transfrontalieri – ma anche un'esplicita valorizzazione del principio di precauzione, che impone agli Stati di intervenire normativamente anche in assenza di certezza scientifica assoluta, qualora sussista un rischio plausibile e fondato per l'ambiente. In tal senso, la Corte ha evidenziato che l'omissione nell'adozione di misure cautelative può integrare una violazione autonoma degli obblighi internazionali, con conseguente responsabilità dello Stato ai sensi degli articoli 1 e 2 del progetto della Commissione di diritto internazionale (CDI) sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti (2001), nonché obbligo di cessazione della condotta e riparazione integrale del danno ai sensi degli articoli 30 e 31 dello stesso corpus.
Si configura così un nuovo assetto della giurisprudenza ambientale internazionale, nel quale la protezione dell'ambiente assume dignità pari a quella degli altri beni giuridici fondamentali della comunità internazionale, quali la pace, la sicurezza e i diritti umani. In effetti, non è un caso che la Corte si sia richiamata anche alla giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani (opinione consultiva OC-23/17) e del Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare (ITLOS, Advisory Opinion 2023), i quali già avevano riconosciuto il diritto ad un ambiente sano come corollario necessario dei diritti inviolabili della persona. È evidente che si sta consolidando una linea interpretativa secondo cui la tutela ambientale non è un ambito settoriale, ma un pilastro strutturale dell'ordinamento internazionale, permeato da un principio di solidarietà intergenerazionale e da una logica di responsabilità collettiva, come previsto anche dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dal Preambolo dell'Accordo di Escazú.
La rilevanza della pronuncia si estende inoltre alla dimensione procedurale: la Corte ha ritenuto che gli Stati abbiano non solo obblighi sostanziali di tutela, ma anche obblighi procedurali di valutazione di impatto ambientale (EIA), di informazione, consultazione e cooperazione in buona fede, secondo quanto già delineato nella giurisprudenza Pulp Mills (ICJ, 2010). Tali obblighi, se violati, possono comportare responsabilità autonoma, anche in assenza di un danno concreto, in base al principio dell'illiceità dell'omissione procedurale.
In conclusione, siamo dinanzi a una svolta giuridica che ridisegna il rapporto tra Stato e ambiente: la protezione ecologica diventa parametro di legalità internazionale, fondamento di una nuova architettura normativa multilivello. L'ambiente, da oggetto di politiche, diventa soggetto di diritto. E gli Stati, da protagonisti esclusivi del sistema internazionale, si trovano oggi a rispondere non solo davanti ai tribunali, ma anche – e soprattutto – davanti alle generazioni future.