Smartphone e Congo: il costo umano della tecnologia

Ogni giorno teniamo tra le mani un oggetto che ci connette con il mondo, ci informa, ci intrattiene, ci accompagna ovunque: lo smartphone. Eppure, raramente ci soffermiamo a riflettere su ciò che c'è dietro quel vetro lucido, sulle mani che scavano, sulle vite spezzate, sul prezzo umano della nostra tecnologia. Questo articolo nasce da una presa di coscienza dolorosa ma necessaria: qual è il costo invisibile dei nostri dispositivi? E quale responsabilità grava su di noi, consumatori e cittadini dell'Occidente?
La Repubblica Democratica del Congo è uno dei Paesi più ricchi di risorse minerarie al mondo. Coltan, cobalto, oro, rame, diamanti: il suo sottosuolo è una miniera strategica per l'intera economia globale. In particolare, il coltan e il cobalto sono elementi fondamentali per la produzione delle batterie agli ioni di litio, usate in smartphone, tablet, computer e persino nelle auto elettriche. Ma proprio queste risorse, anziché rappresentare una ricchezza, sono da decenni il motore di conflitti, corruzione e sfruttamento.
Dietro i nostri dispositivi si cela un sistema economico predatorio, in cui il lavoro minorile è tristemente diffuso e le condizioni di lavoro sono disumane. In molte miniere artigianali congolesi, bambini e adulti lavorano senza alcuna protezione, esposti quotidianamente a crolli, sostanze tossiche e violenza armata. Questi drammi sono spesso ignorati o rimossi dal dibattito pubblico occidentale, come se la distanza geografica potesse assolverci moralmente.
Le grandi multinazionali della tecnologia, pur conoscendo da anni la provenienza di molte delle materie prime che utilizzano, continuano a operare all'interno di filiere opache, prive di effettivi controlli e verifiche. Le dichiarazioni di impegno etico spesso si rivelano mere operazioni di facciata, buone per la reputazione ma prive di reale incidenza. In questo senso, la responsabilità dell'Occidente non è solo politica ed economica, ma anche morale e giuridica.
Il diritto internazionale ha tracciato alcune linee guida fondamentali. I Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (UNGPs), approvati dal Consiglio per i Diritti Umani nel 2011, stabiliscono il dovere degli Stati di proteggere i diritti umani, la responsabilità delle imprese di rispettarli e la necessità di fornire rimedi efficaci alle vittime. In Europa, il Regolamento (UE) 2017/821 stabilisce obblighi di due diligence nella catena di approvvigionamento dei minerali provenienti da zone di conflitto (in particolare stagno, tantalio, tungsteno e oro). Tuttavia, questi strumenti non si applicano ancora in modo vincolante al cobalto e non coprono tutte le aziende.
Si aggiunge a ciò il Principio 2 del Global Compact delle Nazioni Unite, che impone alle imprese di non essere complici di violazioni dei diritti umani, e la Convenzione 182 dell'ILO (ratificata da quasi tutti i Paesi del mondo), che vieta le peggiori forme di lavoro minorile, compreso quello nelle miniere.
Alla luce di quanto esposto, si impone una riflessione collettiva sulla necessità di una maggiore trasparenza nelle filiere produttive e di una più incisiva responsabilizzazione dei soggetti economici coinvolti. Il diritto, nelle sue diverse articolazioni nazionali e sovranazionali, deve poter operare non solo come strumento di regolazione, ma anche come leva di giustizia sociale e ambientale. Promuovere una cultura giuridica fondata sul rispetto dei diritti umani significa interrogarsi anche sulle conseguenze globali delle scelte quotidiane, specialmente in ambiti ad alto impatto come quello tecnologico.
La conoscenza, in questo contesto, non può limitarsi alla denuncia. Deve tradursi in azione: mediante l'adozione di pratiche di consumo consapevole, il sostegno a modelli economici alternativi e la richiesta di normative vincolanti capaci di incidere sulla realtà. In un mondo sempre più interconnesso, ogni scelta individuale ha una ricaduta collettiva. E la difesa della dignità umana non può mai essere delegata al silenzio.
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