Riforma della magistratura 2025: cosa cambia davvero
			            
Il Parlamento ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale della magistratura, nota come riforma della separazione delle carriere, segnando un punto di svolta nel sistema giudiziario italiano. Si tratta di una modifica profonda agli articoli 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione, che ridefinisce la struttura della magistratura e introduce importanti novità in materia di autogoverno e disciplina. Il testo, approvato dal Senato il 30 ottobre 2025 con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astenuti, non avendo raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi, sarà presumibilmente sottoposto a referendum confermativo ai sensi dell'art. 138 Cost.
Il cuore della riforma è la netta separazione tra la carriera dei magistrati giudicanti e quella dei magistrati requirenti. In tal modo, l'art. 104 Cost., che sancisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, viene modificato specificando che essa si compone di due carriere distinte. Vengono così istituiti due Consigli superiori, uno per la carriera giudicante e uno per quella requirente, in sostituzione dell'attuale Consiglio Superiore della Magistratura unico. A completare il quadro si aggiunge la creazione di una Corte disciplinare, organo autonomo con competenze in materia di responsabilità dei magistrati, e la revisione dei criteri di selezione, valutazione e nomina degli stessi.
L'intento dichiarato dal Governo è quello di garantire una maggiore specializzazione e di prevenire conflitti d'interesse interni tra chi giudica e chi accusa, assicurando – secondo i promotori – una giustizia più trasparente, efficiente e coerente con il principio di terzietà del giudice sancito dall'art. 111 Cost. Tale articolo, cardine del giusto processo, stabilisce che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. È proprio questo principio che, secondo i sostenitori della riforma, verrebbe rafforzato dalla netta distinzione tra funzioni requirenti e giudicanti, evitando commistioni di ruoli che in passato avevano suscitato critiche anche a livello europeo.
Tuttavia, molte voci del mondo giuridico hanno espresso preoccupazione per le possibili conseguenze sul piano dell'indipendenza della magistratura. L'Associazione Nazionale Magistrati ha denunciato il rischio di un indebolimento dell'autonomia e della garanzia del cittadino di fronte al potere giudiziario, temendo che la separazione possa produrre due ordini di magistrati con logiche e culture professionali distinte, meno permeabili al confronto interno. Diverse associazioni forensi e accademiche hanno sottolineato che la Costituzione del 1948 ha voluto un'unica magistratura proprio per garantire l'unità della funzione giurisdizionale e l'equilibrio tra poteri, come riflesso dell'art. 3 Cost. sul principio di eguaglianza e dell'art. 24 Cost. che tutela il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento.
La riforma interviene anche sull'autogoverno, ridefinendo le modalità di elezione e composizione dei due nuovi Consigli superiori. Se da un lato si mira a ridurre le correnti interne e a migliorare l'efficienza amministrativa, dall'altro si teme che la duplicità degli organi possa frammentare la rappresentanza e rendere più complesso il sistema di garanzie reciproche. La creazione della Corte disciplinare, poi, apre nuovi scenari sul controllo delle condotte dei magistrati, ma resta da chiarire in che misura essa garantirà un equilibrio tra autonomia e responsabilità.
Dal punto di vista sistematico, l'impatto più profondo si coglie nel rapporto tra indipendenza del potere giudiziario e separazione dei poteri, principi fondamentali della democrazia costituzionale. L'art. 104 Cost. continua a riconoscere l'autonomia della magistratura, ma la distinzione interna potrebbe indebolire l'unitarietà del corpo giudiziario e, in prospettiva, incidere sul delicato equilibrio tra potere esecutivo e potere giudiziario. Sul piano pratico, le nuove norme dovranno essere attuate attraverso leggi ordinarie che definiranno composizione, modalità di accesso e carriera dei magistrati, e che avranno un ruolo decisivo nel determinare l'effettiva portata delle riforme.
Non mancano, infine, riflessioni più ampie sul significato politico e istituzionale di questa revisione. Essa arriva in un contesto di forte dibattito pubblico sul rapporto tra magistratura e politica, e sulla percezione di una giustizia talvolta lenta e corporativa. Da un lato, la riforma viene presentata come un passo verso una giustizia più efficiente e "moderna"; dall'altro, molti giuristi e costituzionalisti ricordano che l'efficienza non può essere perseguita a scapito delle garanzie, che costituiscono l'essenza stessa dello Stato di diritto.
In conclusione, la riforma della magistratura approvata nel 2025 rappresenta una cesura storica e simbolica. Ma come giurista e come osservatrice del diritto costituzionale, ritengo essenziale mantenere alta la vigilanza sui suoi effetti concreti, affinché l'attuazione non tradisca i principi scolpiti negli artt. 3, 24, 104 e 111 Cost. L'indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri non è solo un valore tecnico, ma una garanzia per ogni cittadino. La sfida che si apre ora è quella di coniugare specializzazione e autonomia, efficienza e giustizia sostanziale, ricordando che la Costituzione non è un ostacolo, ma la bussola che orienta ogni riforma verso la tutela della dignità e dell'eguaglianza di tutti davanti alla legge. E come previsto dall'art. 138 della stessa Carta, l'ultima parola spetterà al popolo italiano, che sarà chiamato a esprimersi con il referendum confermativo: un momento di democrazia diretta che riafferma che, in uno Stato di diritto, la sovranità appartiene davvero ai cittadini.
