Medina v. Planned Parenthood: Corte Suprema, Medicaid e crisi della giustizia civile

27.06.2025

Il 26 giugno 2025 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso una sentenza destinata a lasciare il segno. Nel caso Medina v. Planned Parenthood South Atlantic, la maggioranza conservatrice della Corte ha stabilito che i beneficiari del programma federale Medicaid non possono più ricorrere alla giustizia per contestare la decisione di uno Stato di escludere determinati fornitori di servizi sanitari, anche quando tali servizi non riguardano l'aborto. La pronuncia – 6 voti contro 3 – ha avuto come effetto immediato la conferma della politica adottata dalla Carolina del Sud, che ha rimosso Planned Parenthood dall'elenco dei fornitori autorizzati. Ma le sue implicazioni vanno ben oltre: numerosi altri stati governati da maggioranze repubblicane potrebbero seguire l'esempio, tagliando l'accesso a prestazioni di prevenzione, contraccezione, screening oncologici e assistenza di base.

Il cuore giuridico della decisione risiede in una scelta di metodo: la Corte ha ritenuto che la normativa Medicaid, pur vincolando gli stati a rispettare certi standard, non conferisca un "diritto esecutivo privato" ai cittadini. Questo significa che un beneficiario non può citare in giudizio lo Stato per far valere il proprio diritto alla libera scelta del fornitore, se quel diritto non è accompagnato da un'esplicita azionabilità prevista dal Congresso. È una linea interpretativa già nota nella giurisprudenza conservatrice, ma applicata ora a un campo – la salute pubblica – in cui le conseguenze civiche sono profonde: diritti formalmente riconosciuti diventano, in pratica, inaccessibili.

La struttura federale degli Stati Uniti accentua questo squilibrio. Medicaid è un programma nazionale, ma implementato a livello statale. Quando uno stato esclude un fornitore, le persone più colpite sono spesso donne, giovani, migranti o appartenenti a minoranze – tutte categorie che, nel sistema politico americano, soffrono una rappresentanza più debole. Se in passato queste persone potevano difendersi attraverso il ricorso ai tribunali, ora quella strada viene sbarrata. Il principio del rule of law, che dovrebbe garantire a ciascun cittadino la possibilità di rivendicare i propri diritti davanti a un giudice, viene di fatto neutralizzato.

Questo ha un impatto diretto sulla partecipazione civica. In democrazia, il diritto non è solo contenuto nelle leggi, ma vive attraverso la possibilità di invocarlo, difenderlo, farlo valere. Limitare l'accesso alla giustizia equivale a ridurre la cittadinanza a una funzione passiva, subordinata alla volontà politica dello stato. Le giudici Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson, nelle loro opinioni dissenzienti, hanno definito questa sentenza una "perdita concreta di libertà personale". È una denuncia non solo giuridica, ma civile: la libertà costituzionale non è soltanto la libertà dai divieti, ma anche la libertà di agire per proteggere i propri diritti.

La decisione in Medina segna un ulteriore arretramento nel bilanciamento dei poteri. La Corte si è ritratta dal ruolo di garante del cittadino nei confronti del potere statale, affidando al legislatore locale – spesso espressione di maggioranze ideologicamente polarizzate – la possibilità di determinare chi può curarsi, con chi, e in quali condizioni. Questo modello, che privilegia la discrezionalità statale sulla tutela uniforme dei diritti, configura un federalismo punitivo, che non distribuisce le competenze, ma frammenta le garanzie.

In conclusione, la sentenza Medina v. Planned Parenthood South Atlantic non riguarda solo l'accesso ai servizi sanitari. Riguarda il tipo di democrazia che si intende costruire: una democrazia in cui il cittadino è titolare di diritti effettivi e strumenti per difenderli, o una in cui i diritti esistono solo in astratto, subordinati alle decisioni politiche del momento. La Corte ha scelto la seconda strada. E con essa, ha reso la libertà un bene più fragile e meno accessibile, soprattutto per chi ne ha più bisogno.

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