Lovegiver e disabilità: diritti sessuali, modelli internazionali e vuoto legislativo in Italia

Dal riconoscimento nei Paesi europei al disegno di legge fermo in Parlamento: perché l'Italia deve garantire il diritto alla sessualità delle persone con disabilità.
Il diritto alla sessualità per le persone con disabilità è parte integrante della dignità umana, dell'autodeterminazione e della salute, e rientra nella sfera di tutela della vita privata sancita da strumenti come la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), adottata nel 2006 e in vigore dal 2008, cui aderiscono oltre 190 Stati, che riconosce l'accesso alla salute, alla vita privata, all'autodeterminazione e all'inclusione sociale come diritti fondamentali e interdipendenti. Prima ancora, le Standard Rules ONU del 1993 avevano affermato il diritto all'espressione sessuale delle persone con disabilità, avvertendo però che tale riconoscimento resta inefficace se gli Stati non lo traducono in norme concrete.
In molti Paesi europei la figura dell'assistente sessuale – comunemente chiamato lovegiver – è già operativa: in Svizzera esistono associazioni certificate che formano e supervisionano operatori; in Danimarca e nei Paesi Bassi il servizio è in parte integrato nel welfare e talvolta coperto da fondi pubblici; in Germania alcune regioni garantiscono contributi economici per prestazioni qualificate; in Francia, pur senza legge ad hoc, associazioni come APPAS e SEHP collaborano con enti locali per offrire assistenza formata e sicura; in Canada e in alcune aree dell'Australia programmi simili sono riconosciuti o sostenuti da enti pubblici, sebbene con restrizioni. Anche in questi Paesi, tuttavia, raramente esiste una legge nazionale dedicata: la regolamentazione avviene perlopiù su base locale o attraverso norme generali sul lavoro sessuale.
In Italia non esiste ancora una legge specifica e chi desidera vivere la propria sessualità attiva deve trovare soluzioni individuali: i più fortunati costruiscono una relazione affettiva in autonomia, i più audaci ricorrono a sex worker, ma i costi sono elevati e la formazione specifica per interagire con diverse disabilità, specie psichiche o cognitive, è pressoché assente; per molti, la rinuncia diventa l'unica opzione.
Eppure, un tentativo normativo esiste: nel 2014 è stato depositato al Senato il Disegno di Legge n. 1442, noto come "DDL Lo Giudice", che mira a introdurre la figura dell'assistente sessuale/disabilità sessuale supportiva.
Il testo, strutturato in un solo articolo, prevede che il Ministro della Salute adotti linee guida per coordinare interventi regionali, che le Regioni e le Province autonome formino elenchi di "assistenti per la sana sessualità e il benessere psico-fisico" con requisiti precisi (maggior età, assolvimento dell'obbligo scolastico, idoneità psicofisica ASL, sottoscrizione di un codice etico, superamento di un percorso di accreditamento), e che siano definite procedure formative, criteri di accreditamento, tutela dei dati sensibili, codici etici e monitoraggi periodici. L'attività non potrebbe avvenire in forma subordinata o di appalto, ma solo come prestazione autonoma o in cooperativa. Ogni disabilità presenta peculiarità specifiche: chi ha disabilità motoria può aver bisogno di ausili o posizioni dedicate, chi ha disabilità sensoriale necessita di modalità comunicative e stimolazioni personalizzate, chi ha disabilità psichica o cognitiva richiede un approccio educativo e protetto.
La sessualità è un diritto umano essenziale, collegato alla dignità, alla salute, all'autodeterminazione e all'integrità psicofisica: la Corte Costituzionale (sent. n. 561/1987) ha riconosciuto che "la sessualità è un modo essenziale d'espressione della persona umana" e che esiste un diritto soggettivo assoluto alla libertà di disporne.
Inoltre, una vita sessuale consapevole porta benefici comprovati: riduzione dello stress, miglioramento del sonno, sostegno al sistema cardiovascolare e immunitario, aumento dell'autostima e della qualità di vita.
Riprendendo i modelli internazionali e il DDL giacente, una proposta coerente per l'Italia dovrebbe prevedere un inquadramento giuridico della figura del lovegiver/assistente sessuale; formazione certificata multidisciplinare (psicologia, sessuologia, etica, disabilità); un codice deontologico per garantire trasparenza, sicurezza e protezione psicologica; accessibilità economica tramite contributi pubblici o integrazioni con il welfare; monitoraggio e supervisione della salute fisica e psicologica degli operatori; e campagne culturali per combattere lo stereotipo dell'asessualità delle persone con disabilità. Guardare ai modelli esteri e adattarli al contesto italiano non significherebbe introdurre un'eccezione, ma attuare pienamente un diritto fondamentale: vivere la propria sessualità in modo consapevole, sicuro e dignitoso.