Ingerenze USA e UE: il rischio di una pace ingiusta in Ucraina

L'Unione Europea vive oggi una fase di compressione geopolitica senza precedenti: da un lato gli Stati Uniti, potenza tradizionalmente "alleata", ma sempre più incline a imporre un'agenda strategica conforme ai propri interessi; dall'altro la Russia, attore revisionista che ha violato in modo palese i principi cardine del diritto internazionale, dall'integrità territoriale all'autodeterminazione dei popoli. In questo quadro, l'Europa rischia di trasformarsi da soggetto politico a semplice terreno di negoziazione tra potenze esterne. La vicenda del nuovo piano di pace americano per l'Ucraina ne è la dimostrazione lampante: un'iniziativa che appare più orientata a compiacere le ambizioni russe che a garantire una pace giusta e sostenibile per Kiev e per l'intero continente.
Il progetto avanzato da Washington si presenta come un compromesso diplomatico, ma nella sostanza contiene elementi fortemente penalizzanti per l'Ucraina: riconoscimento implicito del controllo russo sulle regioni occupate, esclusione definitiva di Kiev dalla NATO, severa limitazione delle capacità militari ucraine, nonché una ricostruzione economica gestita in larga parte secondo logiche americane. È un impianto che, lungi dal ripristinare l'ordine internazionale violato dall'aggressione russa del 2022, sembra sancirne i risultati, avallando di fatto l'espansione territoriale del Cremlino. Un vero paradosso giuridico: la pace costruita non sulla riparazione dell'illecito, ma sulla sua cristallizzazione.
Ciò che maggiormente desta inquietudine è la sistematica esclusione dell'UE dai tavoli decisionali. Pur essendo il conflitto ucraino una crisi di sicurezza interna allo spazio europeo, Washington ha elaborato la propria proposta ignorando l'Unione come attore negoziale, trattandola alla stregua di una spettatrice. Si tratta di un'erosione silenziosa della sovranità geopolitica europea, in contrasto con il principio di autonomia strategica sancito da anni di dichiarazioni istituzionali. Accettare un piano concepito altrove, che incide sugli equilibri europei senza che l'Europa sia parte sostanziale del processo, significherebbe ratificare una posizione di minorità politica.
L'accettazione di tale piano comporterebbe il rischio di trasformare l'UE in una zona cuscinetto fra due potenze che dialogano sopra le nostre teste. Gli Stati Uniti consoliderebbero il loro ruolo di arbitro supremo delle crisi europee; la Russia otterrebbe una vittoria strategica e simbolica, vedendo riconosciuta parte delle sue pretese territoriali. L'Europa, priva di voce e di strumenti autonomi di difesa, rischierebbe non solo un ruolo subalterno, ma una perdita permanente della sua capacità di influenzare il proprio destino. Una prospettiva che contrasta apertamente con l'art. 21 TUE, che impegna l'Unione a promuovere l'ordine internazionale basato sul diritto, non sulle convenienze di potenze esterne.
Legittimare una modifica unilaterale dei confini attraverso la forza equivarrebbe a minare i fondamenti della comunità internazionale. L'art. 2, par. 4 della Carta delle Nazioni Unite vieta esplicitamente l'uso della forza per alterare le frontiere, mentre il principio di integrità territoriale è pilastro delle relazioni pacifiche tra Stati. Un accordo che premia l'aggressione rappresenta un precedente destabilizzante, idoneo a incoraggiare futuri attori revisionisti. L'Europa, che ha costruito la propria identità sulla pace e sul diritto, non può accettare un modello di "pace dettata" contrario ai principi che la fondano.
L'Unione deve reagire con fermezza. Ciò implica superare divisioni interne, sviluppare una politica estera coesa, rafforzare il Pilastro della Difesa Europea e affermare una capacità negoziale autonoma. Non è più pensabile delegare agli Stati Uniti la gestione delle crisi che coinvolgono direttamente il continente. L'Europa ha il dovere di proporre un proprio piano di pace, conforme al diritto internazionale e realmente orientato alla tutela della vittima dell'aggressione. L'alternativa è accettare la marginalizzazione e assistere, impotente, alla ridefinizione del proprio spazio geopolitico.
Se l'Unione non recupera autorevolezza strategica, lo scenario potrebbe divenire ancora più fosco: nuovi conflitti ibridi sul Suo fianco orientale, pressioni economiche coordinate da Washington e Mosca, riduzione dello spazio decisionale europeo in materia energetica, sicurezza informatica, commercio e difesa. Un'Europa che non esercita potere è un'Europa vulnerabile. E la vulnerabilità geopolitica, oggi, è una minaccia diretta anche per i diritti fondamentali e per il modello democratico europeo.
È giunto il momento che l'Unione Europea recuperi la propria dignità geopolitica e la consapevolezza del ruolo che il diritto le attribuisce. Non può più limitarsi a reagire: deve agire. Il piano statunitense — per come concepito — non è soltanto squilibrato, ma profondamente disallineato rispetto ai valori che l'Europa proclama di difendere. Accettarlo significherebbe acconsentire alla normalizzazione di una pace priva di giustizia, che avalla l'espansione per via armata e svuota di significato principi essenziali come la sovranità statale e l'inviolabilità dei confini. Sarebbe una resa non soltanto ucraina, ma europea.
L'Unione ha costruito la propria identità sull'idea che il diritto sia più forte della forza: dall'art. 2 TUE, che sancisce il rispetto della dignità umana e del diritto, sino all'art. 21 TUE, che impone all'UE di promuovere la pace attraverso la legalità internazionale, non attraverso equilibri di potenza. Ogni deviazione da questi principi produce un effetto domino: minaccia la credibilità dell'Europa e apre varchi insidiosi ad attori che vedono nella nostra debolezza un'opportunità strategica.
È perciò essenziale che Bruxelles recuperi una voce unitaria e autorevole, che non segua inertemente le traiettorie di Washington né si pieghi alla narrativa russa di una "pace inevitabile". L'Europa deve proporre un proprio modello negoziale fondato su tre pilastri irrinunciabili:
- riequilibrio giuridico — la pace deve essere costruita intorno al ripristino dell'ordine violato, non alla sua cristallizzazione;
- tutela effettiva della vittima — l'Ucraina non può essere sacrificata sull'altare della "stabilità" apparente;
- autonomia strategica europea — senza una reale capacità di difesa, diplomazia e deterrenza, l'UE resterà oggetto, non soggetto, delle decisioni altrui.
L'invito a "svegliarsi" non è una figura retorica, ma una chiamata alla responsabilità: la storia insegna che i vuoti di potere vengono sempre colmati da altri, spesso da chi non condivide i nostri valori e non ha interesse a preservarli. Se l'Europa non assume ora un ruolo centrale e indipendente nello scenario internazionale, rischia di ritrovarsi definitivamente marginalizzata, compressa fra due imperi contemporanei — quello americano e quello russo — che negoziano il suo destino senza di lei.
La verità è semplice: un'Europa che rinuncia alla propria sovranità geopolitica perde anche quella giuridica, economica e culturale. E quando una civiltà rinuncia a decidere per sé, non è detto che possa recuperare quello spazio perduto. Per questo il tempo è adesso. Non domani. Non quando sarà più comodo.
Se l'Unione Europea non si ridesta oggi, rischia davvero di non potersi più risvegliare domani.
