Il Trattato di Ottawa e l’Ucraina: difesa e diritto umanitario in tempi di guerra

Il Trattato di Ottawa, formalmente Convenzione sulla proibizione delle mine antipersona, rappresenta uno dei pilastri del diritto internazionale umanitario contemporaneo. Adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999, esso vieta categoricamente l'uso, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di mine antipersona, imponendo agli Stati aderenti obblighi chiari di distruzione delle scorte e di bonifica dei territori contaminati, nonché di assistenza alle vittime. La ratio del Trattato è profondamente umanitaria: ridurre le sofferenze dei civili, proteggere i territori dalle conseguenze di lungo termine dei conflitti e costruire un sistema internazionale più sicuro e rispettoso della dignità umana.
L'Ucraina, che ha ratificato il Trattato di Ottawa nel 2005, ha cercato negli anni di adeguarsi agli obblighi internazionali, pur tra le difficoltà dovute alla situazione instabile nelle regioni orientali fin dal 2014. Tuttavia, l'invasione russa su larga scala del febbraio 2022 ha mutato radicalmente il contesto geopolitico e militare in cui Kiev si trova ad operare. Nel 2024, di fronte a un'offensiva che minacciava l'integrità territoriale dello Stato e la sopravvivenza stessa della nazione, le autorità ucraine hanno notificato la sospensione temporanea di alcuni obblighi derivanti dal Trattato di Ottawa. Tale sospensione è stata giustificata facendo riferimento alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, la quale consente, in situazioni eccezionali, la sospensione degli obblighi internazionali qualora essi compromettano la sicurezza nazionale o l'integrità dello Stato.
Nella motivazione giuridico-politica dell'Ucraina emerge la centralità della legittima difesa, sancita dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevale temporaneamente sugli obblighi umanitari del disarmo. Le mine antipersona sono viste dalle autorità ucraine come uno strumento estremo ma necessario per difendere il territorio, rallentare l'avanzata delle truppe russe e proteggere infrastrutture strategiche e civili in una situazione di emergenza esistenziale. Questa scelta, tuttavia, pone l'Ucraina in una posizione delicata sul piano del diritto internazionale: da un lato la legittima difesa giustifica alcune deroghe temporanee; dall'altro, l'uso delle mine antipersona, per la loro natura indiscriminata e persistente nel tempo, resta fortemente problematico e contrario ai principi fondamentali del diritto umanitario.
È necessario ricordare che la Russia non è parte del Trattato di Ottawa e che ha impiegato massicciamente mine antipersona e antiuomo sin dall'inizio del conflitto, aumentando esponenzialmente i rischi per i civili e la contaminazione del territorio ucraino. In questo quadro, la decisione ucraina appare non come un atto di rottura con l'ordine giuridico internazionale, ma come una sospensione condizionata, finalizzata a garantire la sopravvivenza dello Stato e della popolazione, nella prospettiva – si auspica – di un futuro ritorno al pieno rispetto degli obblighi di disarmo.
Il caso ucraino solleva interrogativi profondi sull'efficacia dei trattati umanitari in tempo di guerra. Mostra come anche gli strumenti più nobili e condivisi possano essere messi a dura prova dalla realtà brutale dei conflitti armati, specie quando uno Stato aggressore non riconosce gli stessi vincoli giuridici. Ma la sospensione temporanea non equivale a un recesso definitivo: resta l'impegno morale e giuridico affinché, una volta terminato il conflitto, l'Ucraina riprenda il percorso del disarmo, proceda alla bonifica dei territori contaminati e si prenda cura delle vittime civili, in linea con lo spirito del Trattato di Ottawa.
In conclusione, l'avvocatura internazionale e i giuristi dei diritti umani sono oggi chiamati a vigilare, affinché il diritto umanitario non diventi la vittima collaterale di una guerra che ha già causato troppe perdite umane e materiali. La sfida è mantenere saldo il principio per cui anche nella difesa più disperata esiste un limite etico e giuridico da non oltrepassare, pena la perdita stessa della civiltà giuridica internazionale.