Giornata mondiale delle bambine: diritti, legge e dignità

Le bambine come soggetti di diritto: il mondo che le guarda, il diritto che le dimentica.
L'11 ottobre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 66/170 del 19 dicembre 2011. È una ricorrenza che non nasce come commemorazione, ma come atto politico e giuridico: un riconoscimento formale del fatto che nascere femmina, in molte parti del mondo, significa affrontare una traiettoria di vita più fragile, più breve e più condizionata. La giornata vuole rendere visibile ciò che le statistiche confermano: la disuguaglianza di genere si radica già nell'infanzia, e spesso la bambina è doppiamente vulnerabile, perché minore e perché donna.
Quest'anno il tema scelto dalle Nazioni Unite è "The girl I am, the change I lead: Girls on the frontlines of crisis". Un invito a guardare alle bambine non più soltanto come vittime da proteggere, ma come protagoniste di cambiamento. Nelle crisi — siano esse belliche, climatiche, sanitarie o sociali — le bambine sono le prime a pagare le conseguenze della povertà, della fame, della mancanza di istruzione e sicurezza, ma sono anche le prime a reagire, a costruire micro-comunità di solidarietà, a prendersi cura degli altri. Il diritto internazionale moderno, sebbene riconosca la loro vulnerabilità, raramente le considera come agenti attivi.
Nel mondo oltre 120 milioni di bambine non frequentano la scuola, una su cinque viene costretta a sposarsi prima dei 18 anni, e milioni subiscono violenze fisiche o psicologiche, mutilazioni genitali, sfruttamento domestico o sessuale. La Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza del 1989, ratificata dall'Italia con la Legge n. 176/1991, sancisce all'articolo 19 il diritto dei minori ad essere protetti da ogni forma di violenza, e all'articolo 24 il diritto alla salute. Tuttavia, queste disposizioni restano spesso prive di attuazione effettiva. La CEDAW del 1979 (Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna), ancora oggi rappresenta una bussola, ma non tutti gli Stati hanno tradotto i suoi principi in strumenti giuridici vincolanti per la tutela dell'infanzia femminile.
Le crisi globali accentuano queste disuguaglianze. Quando il conflitto devasta infrastrutture, scuole e ospedali, o quando la siccità costringe le famiglie a migrare, le bambine vengono sottratte all'istruzione, impiegate nel lavoro di cura, date in sposa per ragioni economiche. Nei campi profughi o lungo le rotte migratorie, il loro corpo diventa terreno di vulnerabilità estrema. Le convenzioni internazionali — dal Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di persone alla Convenzione del Consiglio d'Europa di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne — tentano di proteggere anche le minori, ma l'attuazione rimane lacunosa.
Nel contesto italiano, la discriminazione assume forme più sottili. Le bambine non subiscono, in generale, privazioni materiali gravi, ma convivono con stereotipi radicati, differenze di opportunità educative, mancanza di educazione affettiva nelle scuole, carenza di modelli di leadership femminile. L'articolo 3 della Costituzione impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono l'eguaglianza sostanziale; l'articolo 31 tutela l'infanzia promuovendo istituzioni necessarie alla sua protezione. Eppure la cronaca italiana continua a raccontare storie di bambine abusate, non credute, spesso dimenticate dalle istituzioni. Le relazioni annuali del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e dell'ISTAT evidenziano come la violenza domestica e gli abusi sessuali restino fenomeni sommersi, e come la carenza di personale nei servizi sociali renda difficile una tutela tempestiva.
Le norme penali, come l'art. 609-quater c.p. sugli atti sessuali con minorenne, l'art. 609-bis sulla violenza sessuale e l'art. 609-octies sulle aggravanti, tutelano formalmente le bambine. Tuttavia, la protezione reale si misura sulla capacità dello Stato di offrire ascolto, assistenza legale e psicologica, e percorsi di reinserimento. Il Codice deontologico forense, all'articolo 9, richiama l'avvocato al dovere di tutelare la persona in condizioni di vulnerabilità, garantendo rispetto, riservatezza e attenzione particolare ai minori. La professione forense è, in questo senso, parte attiva nella costruzione di una cultura giuridica attenta alle differenze e alla dignità.
La prospettiva dell'educazione è centrale. L'Obiettivo 4 dell'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile prevede un'istruzione di qualità, equa e inclusiva per tutti, mentre l'Obiettivo 5 mira all'uguaglianza di genere e all'empowerment di tutte le donne e le ragazze. Tuttavia, in molte aree rurali del mondo e in alcuni contesti migratori italiani, l'accesso all'istruzione rimane incompleto o interrotto. L'educazione alla parità e al rispetto, la formazione affettiva e sessuale nelle scuole, l'orientamento alle carriere STEM sono strumenti indispensabili per spezzare il circolo della disuguaglianza, ma ancora oggi vengono ostacolati da pregiudizi e diffidenze culturali.
In parallelo, il digitale rappresenta una nuova frontiera di rischio e di opportunità. Le bambine affrontano un doppio paradosso: da un lato la disuguaglianza digitale di genere, dall'altro la sovraesposizione ai pericoli online — grooming, revenge porn, hate speech. Il legislatore italiano, con l'art. 612-ter c.p. introdotto dalla Legge n. 69/2019 ("Codice Rosso"), ha riconosciuto il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, prevedendo aggravanti specifiche in caso di minori. Ma l'educazione digitale resta la vera chiave preventiva: la conoscenza è l'unico antidoto alla manipolazione.
Accanto al diritto positivo, esiste il diritto morale e civile di riconoscere nelle bambine delle persone titolari di autonomia. Come ricordava la Dichiarazione di Pechino del 1995, "i diritti delle bambine non sono negoziabili". Eppure la realtà mostra che i loro corpi continuano a essere oggetto di controllo, silenzio, invisibilità. Anche in Italia, il linguaggio quotidiano, la pubblicità, la rappresentazione mediatica delle minori perpetuano modelli passivi e stereotipati. Il diritto dovrebbe, invece, essere strumento di emancipazione, di riconoscimento della persona nella sua interezza, non solo nella sua vulnerabilità.
Celebrare l'11 ottobre significa dunque riportare la questione dell'infanzia femminile nel centro del dibattito politico e giuridico. Significa interrogarsi su quanto sia reale l'uguaglianza di genere in un ordinamento che, pur evoluto, continua a riprodurre disuguaglianze nei ruoli, nelle aspettative, nelle tutele. Significa riconoscere che una società giusta non è quella che "protegge" le bambine, ma quella che le ascolta, le coinvolge e le lascia decidere.
Il diritto ha il dovere di diventare linguaggio di speranza, non solo di difesa. La Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze ci ricorda che ogni minore femmina che cresce libera, istruita e rispettata è una risorsa di civiltà. E che l'emancipazione delle bambine non è un atto di gentilezza, ma un obbligo costituzionale e umano.