Giornata mondiale dei migranti: sfruttamento lavorativo in Italia e crisi dello Stato di diritto

18.12.2025

La Giornata mondiale dei migranti non può essere relegata a un rituale commemorativo privo di conseguenze giuridiche e politiche. Essa impone, piuttosto, una riflessione strutturale sul modo in cui gli ordinamenti contemporanei — e quello italiano in particolare — trattano il lavoro migrante. In Italia, il fenomeno dello sfruttamento lavorativo dei migranti non rappresenta una deviazione marginale del sistema economico, bensì una patologia sistemica che interroga direttamente i principi costituzionali di dignità, eguaglianza e tutela del lavoro.

Il lavoro è il principale vettore di integrazione sociale, ma per i migranti diviene spesso strumento di ricatto. L'accesso al lavoro regolare è infatti condizionato dallo status giuridico, dal permesso di soggiorno e dalla dipendenza dal datore di lavoro, creando una relazione asimmetrica che favorisce abusi. In questo quadro, la migrazione non è una "emergenza", bensì una componente strutturale del mercato del lavoro italiano, in particolare nei settori agricolo, edilizio, logistico e dell'assistenza domestica.

Lo sfruttamento dei lavoratori migranti si pone in aperto contrasto con l'articolo 1 della Costituzione, che fonda la Repubblica sul lavoro, e con l'articolo 36, che garantisce una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa. A ciò si aggiunge l'articolo 3, che impone l'eguaglianza sostanziale e obbliga lo Stato a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la dignità delle persone. Quando il lavoratore migrante è costretto ad accettare salari irrisori, orari disumani e condizioni degradanti, è lo Stato di diritto a risultare compromesso.

Il legislatore italiano ha introdotto l'articolo 603-bis del codice penale per reprimere il fenomeno dell'intermediazione illecita e dello sfruttamento del lavoro. Tuttavia, la previsione normativa, pur avanzata sul piano formale, soffre di gravi criticità applicative. Le difficoltà di denuncia, il timore di ritorsioni, la perdita del permesso di soggiorno e la scarsa protezione effettiva delle vittime rendono lo strumento penale spesso inefficace. La repressione, da sola, non è sufficiente se non accompagnata da politiche di prevenzione e tutela sociale.

Uno degli aspetti più problematici riguarda la stretta connessione tra lavoro e permesso di soggiorno. Il sistema normativo italiano, fondato sul contratto di lavoro come presupposto della regolarità del soggiorno, trasforma la perdita dell'occupazione in una minaccia esistenziale. Questa impostazione produce una ricattabilità strutturale che alimenta lo sfruttamento e scoraggia l'emersione delle violazioni, ponendosi in tensione con i principi di tutela della persona sanciti anche dall'articolo 2 della Costituzione.

Lo sfruttamento dei migranti non è solo una questione interna, ma coinvolge direttamente gli obblighi assunti dall'Italia in sede europea ed internazionale. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea tutela la dignità umana e vieta il lavoro forzato, mentre le convenzioni dell'OIL impongono standard minimi di protezione. L'inadempienza sistemica rispetto a tali obblighi mina la credibilità dello Stato e contribuisce a una normalizzazione della violazione dei diritti fondamentali.

Non si può ignorare la responsabilità della filiera economica e dei consumi. Lo sfruttamento del lavoro migrante consente la compressione dei costi e l'abbassamento artificiale dei prezzi, con un vantaggio competitivo che ricade sull'intero sistema produttivo. In assenza di controlli efficaci e di sanzioni reali, lo sfruttamento diviene una componente tollerata del mercato, in aperta contraddizione con i principi di legalità e giustizia sociale.

La Giornata mondiale dei migranti deve essere letta come un banco di prova della civiltà giuridica di un Paese. Contrastare lo sfruttamento lavorativo non è un atto di generosità, ma un dovere costituzionale e internazionale. La tutela del lavoro migrante coincide con la tutela dello Stato di diritto stesso: dove il lavoro è sfruttato, la legalità si indebolisce; dove la dignità è calpestata, la democrazia arretra.