Giornata internazionale aborto sicuro: diritti e salute

28.09.2025

Riflessioni in occasione della Giornata internazionale

L'aborto è uno dei temi più complessi e divisivi del nostro tempo, situato al crocevia tra diritto, etica, salute pubblica e giustizia sociale. La Giornata internazionale per l'aborto sicuro, istituita nel 1990 dalla Women's Global Network for Reproductive Rights e celebrata il 28 settembre, invita a riflettere non solo sulla liceità morale e giuridica dell'interruzione volontaria di gravidanza, ma soprattutto sulla sua dimensione concreta di diritto alla salute e alla dignità delle donne. In Italia e nel mondo, il dibattito continua a interrogare le coscienze, i parlamenti e le corti.

La tutela costituzionale italiana trova fondamento anzitutto nell'art. 32 della Costituzione, che riconosce la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, e nell'art. 3, che impone di rimuovere gli ostacoli che limitano l'uguaglianza e la libertà delle donne. La legge 22 maggio 1978 n. 194, ancora oggi cardine della disciplina, ha rappresentato una svolta epocale nel bilanciare la tutela della vita nascente con l'autodeterminazione femminile, prevedendo la possibilità di ricorrere all'interruzione di gravidanza entro i primi 90 giorni e, in casi particolari, anche oltre. Tuttavia, la legge non si esaurisce nella previsione dell'aborto legale: essa si pone come norma di garanzia per la prevenzione, la tutela sociale della maternità e l'assistenza sanitaria.

Sul piano internazionale, la Convenzione CEDAW (1979), ratificata dall'Italia con legge 132/1985, impegna gli Stati a eliminare ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, inclusa quella legata all'accesso ai servizi riproduttivi. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte sottolineato come la mancanza di accesso effettivo ai servizi di interruzione di gravidanza, pur previsti dall'ordinamento nazionale, costituisca violazione del diritto alla vita privata e familiare tutelato dall'art. 8 CEDU. Anche il Comitato ONU per i diritti umani, nell'interpretazione dell'art. 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ha ribadito che gli Stati devono evitare condizioni che costringano le donne a ricorrere ad aborti clandestini, spesso pericolosi per la vita stessa.

Il tema dell'aborto sicuro, dunque, non è riducibile a un conflitto ideologico, ma riguarda in primo luogo la protezione della salute pubblica. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno milioni di donne siano costrette a ricorrere a pratiche insicure, con gravi conseguenze sanitarie e sociali. Da questo punto di vista, l'accesso a servizi medici sicuri e legali rappresenta uno strumento di giustizia sostanziale, volto a prevenire disuguaglianze che colpiscono soprattutto le donne più povere, migranti o marginalizzate. Non a caso, l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite richiama, nell'Obiettivo 3, la necessità di garantire salute e benessere per tutti, includendo la salute riproduttiva.

In Italia, a quasi cinquant'anni dall'approvazione della legge 194, la sua applicazione continua a scontare difficoltà rilevanti. L'obiezione di coscienza dei medici, prevista dall'art. 9 della legge, ha generato in alcune regioni percentuali così elevate da compromettere l'effettività del diritto. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 35 del 1997, ha chiarito che l'obiezione non può mai tradursi in un rifiuto generalizzato delle strutture sanitarie di garantire la prestazione. Tuttavia, i dati del Ministero della Salute evidenziano ancora oggi forti disuguaglianze territoriali, che rischiano di trasformare un diritto formale in un privilegio di fatto.

Sul piano etico-giuridico, la questione si intreccia con il principio di autodeterminazione. La stessa Corte costituzionale, con la storica sentenza n. 27 del 1975, aveva affermato che la tutela della vita non nata non può mai annullare i diritti della donna, titolare di personalità già pienamente formata. La giurisprudenza più recente, anche in materia di fine vita (sentenza n. 242/2019), conferma una linea di continuità: il corpo non può diventare oggetto di imposizione da parte dello Stato, pena la violazione dei diritti inviolabili sanciti dall'art. 2 Cost.

La Giornata internazionale dell'aborto sicuro ci costringe, dunque, a una duplice riflessione: da un lato, riaffermare il diritto delle donne a decidere liberamente e in sicurezza; dall'altro, denunciare le prassi che ancora ostacolano l'effettività della legge. Non è solo questione di libertà individuale, ma di giustizia sociale e di uguaglianza sostanziale, perché costringere le donne ai margini della legalità significa amplificare disuguaglianze e vulnerabilità.

In definitiva, l'aborto sicuro non è un privilegio né una concessione politica, ma un diritto umano riconosciuto dal diritto interno e internazionale, che va tutelato con responsabilità, equilibrio e rispetto. La sfida per il futuro non è riaprire una sterile contrapposizione ideologica, ma garantire che ogni donna, ovunque si trovi, possa accedere a cure sicure, informazioni chiare e sostegno adeguato. La legge 194 ci consegna un modello di equilibrio tra valori contrapposti: spetta alla politica, alle istituzioni e alla società civile renderlo vivo e attuale, senza tradire lo spirito della Costituzione e senza lasciare indietro nessuna persona.

Riflessioni in occasione della Giornata internazionale

L'aborto è uno dei temi più complessi e divisivi del nostro tempo, situato al crocevia tra diritto, etica, salute pubblica e giustizia sociale. La Giornata internazionale per l'aborto sicuro, istituita nel 1990 dalla Women's Global Network for Reproductive Rights e celebrata il 28 settembre, invita a riflettere non solo sulla liceità morale e giuridica dell'interruzione volontaria di gravidanza, ma soprattutto sulla sua dimensione concreta di diritto alla salute e alla dignità delle donne. In Italia e nel mondo, il dibattito continua a interrogare le coscienze, i parlamenti e le corti.

La tutela costituzionale italiana trova fondamento anzitutto nell'art. 32 della Costituzione, che riconosce la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, e nell'art. 3, che impone di rimuovere gli ostacoli che limitano l'uguaglianza e la libertà delle donne. La legge 22 maggio 1978 n. 194, ancora oggi cardine della disciplina, ha rappresentato una svolta epocale nel bilanciare la tutela della vita nascente con l'autodeterminazione femminile, prevedendo la possibilità di ricorrere all'interruzione di gravidanza entro i primi 90 giorni e, in casi particolari, anche oltre. Tuttavia, la legge non si esaurisce nella previsione dell'aborto legale: essa si pone come norma di garanzia per la prevenzione, la tutela sociale della maternità e l'assistenza sanitaria.

Sul piano internazionale, la Convenzione CEDAW (1979), ratificata dall'Italia con legge 132/1985, impegna gli Stati a eliminare ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, inclusa quella legata all'accesso ai servizi riproduttivi. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte sottolineato come la mancanza di accesso effettivo ai servizi di interruzione di gravidanza, pur previsti dall'ordinamento nazionale, costituisca violazione del diritto alla vita privata e familiare tutelato dall'art. 8 CEDU. Anche il Comitato ONU per i diritti umani, nell'interpretazione dell'art. 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ha ribadito che gli Stati devono evitare condizioni che costringano le donne a ricorrere ad aborti clandestini, spesso pericolosi per la vita stessa.

Il tema dell'aborto sicuro, dunque, non è riducibile a un conflitto ideologico, ma riguarda in primo luogo la protezione della salute pubblica. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno milioni di donne siano costrette a ricorrere a pratiche insicure, con gravi conseguenze sanitarie e sociali. Da questo punto di vista, l'accesso a servizi medici sicuri e legali rappresenta uno strumento di giustizia sostanziale, volto a prevenire disuguaglianze che colpiscono soprattutto le donne più povere, migranti o marginalizzate. Non a caso, l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite richiama, nell'Obiettivo 3, la necessità di garantire salute e benessere per tutti, includendo la salute riproduttiva.

In Italia, a quasi cinquant'anni dall'approvazione della legge 194, la sua applicazione continua a scontare difficoltà rilevanti. L'obiezione di coscienza dei medici, prevista dall'art. 9 della legge, ha generato in alcune regioni percentuali così elevate da compromettere l'effettività del diritto. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 35 del 1997, ha chiarito che l'obiezione non può mai tradursi in un rifiuto generalizzato delle strutture sanitarie di garantire la prestazione. Tuttavia, i dati del Ministero della Salute evidenziano ancora oggi forti disuguaglianze territoriali, che rischiano di trasformare un diritto formale in un privilegio di fatto.

Sul piano etico-giuridico, la questione si intreccia con il principio di autodeterminazione. La stessa Corte costituzionale, con la storica sentenza n. 27 del 1975, aveva affermato che la tutela della vita non nata non può mai annullare i diritti della donna, titolare di personalità già pienamente formata. La giurisprudenza più recente, anche in materia di fine vita (sentenza n. 242/2019), conferma una linea di continuità: il corpo non può diventare oggetto di imposizione da parte dello Stato, pena la violazione dei diritti inviolabili sanciti dall'art. 2 Cost.

La Giornata internazionale dell'aborto sicuro ci costringe, dunque, a una duplice riflessione: da un lato, riaffermare il diritto delle donne a decidere liberamente e in sicurezza; dall'altro, denunciare le prassi che ancora ostacolano l'effettività della legge. Non è solo questione di libertà individuale, ma di giustizia sociale e di uguaglianza sostanziale, perché costringere le donne ai margini della legalità significa amplificare disuguaglianze e vulnerabilità.

In definitiva, l'aborto sicuro non è un privilegio né una concessione politica, ma un diritto umano riconosciuto dal diritto interno e internazionale, che va tutelato con responsabilità, equilibrio e rispetto. La sfida per il futuro non è riaprire una sterile contrapposizione ideologica, ma garantire che ogni donna, ovunque si trovi, possa accedere a cure sicure, informazioni chiare e sostegno adeguato. La legge 194 ci consegna un modello di equilibrio tra valori contrapposti: spetta alla politica, alle istituzioni e alla società civile renderlo vivo e attuale, senza tradire lo spirito della Costituzione e senza lasciare indietro nessuna persona.