Generazione Z rivoluzionaria: proteste globali tra Africa e Asia

14.11.2025

Nei Paesi più fragili dell'Africa e dell'Asia sta emergendo una Generazione Z capace di rompere l'inerzia storica, trasformando territori segnati da povertà strutturale, regimi autoritari e crisi istituzionali in laboratori di una nuova cittadinanza attiva. Non è una ribellione episodica, né un fenomeno circoscritto alle capitali: è un movimento transnazionale che cresce nelle università, nelle strade polverose, nei mercati, nei villaggi, e che nasce dalla consapevolezza che i diritti fondamentali o si pretendono o non esistono. Questa gioventù non è digitalizzata per moda, ma per necessità: connessioni instabili, telefoni usurati e reti comunitarie diventano strumenti di documentazione, denuncia e coordinamento in contesti dove il diritto di espressione e di manifestazione è sistematicamente ostacolato, spesso in violazione degli artt. 19 e 21 del Patto ONU sui Diritti Civili e Politici.

In Africa è il continente stesso a parlare attraverso i suoi giovani. In Nigeria, cuore pulsante del movimento End SARS, milioni di ragazzi hanno sfidato l'apparato della sicurezza denunciando brutalità e impunità. In Sudan, la rivoluzione del 2019 ha avuto un volto eminentemente giovanile, con ragazze e ragazzi che hanno pagato con il sangue la richiesta di un Paese libero. In Etiopia, specialmente nel Tigray, i giovani attivisti hanno supplito al silenzio internazionale documentando atrocità spesso celate. Nella Repubblica Democratica del Congo gli studenti denunciano il prezzo umano del coltan, mettendo in luce la responsabilità condivisa del mercato globale. In Zimbabwe il dissenso giovanile rimette al centro la libertà di stampa, mentre in Uganda la mobilitazione attorno alla figura di Bobi Wine ha segnato una stagione politica inedita. Senegal, Mali, Burkina Faso e Kenya assistono a un protagonismo crescente dei giovani, che chiedono trasparenza, equità e fine della corruzione. E accanto a questi Paesi più noti alla cronaca internazionale, emerge anche il Madagascar, dove gli studenti di Antananarivo, Mahajanga e Fianarantsoa protestano contro l'aumento del costo della vita, la gestione opaca delle risorse naturali e l'instabilità politica cronica. È una mobilitazione silenziosa ma costante, una richiesta di diritti sociali e civili che ricalca quanto previsto dagli obblighi internazionali in materia di istruzione, libertà accademica e partecipazione democratica.

In Asia lo scenario non è meno incisivo. In Myanmar la Generazione Z è stata il primo fronte della resistenza al golpe del 2021, pagando un prezzo altissimo in arresti e vite umane. A Hong Kong i giovanissimi hanno sostenuto per mesi proteste imponenti, rivendicando principi di autonomia e libertà politica. In Sri Lanka, nel 2022, sono stati i giovani a guidare l'ondata di indignazione che ha portato alle dimissioni del Presidente. In Pakistan i movimenti studenteschi chiedono istruzione libera e istituzioni trasparenti; in Bangladesh la protesta giovanile contro lo sfruttamento del lavoro femminile nel settore tessile è diventata un simbolo globale di giustizia sociale; in Iran le ragazze e i ragazzi trasformano il dissenso in un atto di autodeterminazione collettiva, nel nome di Mahsa Amini, sfidando un sistema repressivo che viola apertamente i diritti garantiti dalle Convenzioni ONU del 1979 e del 1984.

In questo panorama complesso emerge un elemento simbolico inatteso: la cosiddetta "bandiera rivoluzionaria" della Generazione Z, ossia la Jolly Roger di One Piece, la bandiera nera con il teschio sorridente e il cappello di paglia. È un simbolo nato nella cultura pop, ma adottato globalmente come emblema di protesta da ragazzi che vivono sotto governi autoritari o in contesti di povertà estrema. Il teschio sorridente esprime una sfida non violenta al potere: non un'evocazione di morte, ma la celebrazione di un coraggio disarmato. Le ossa incrociate richiamano la ribellione storica contro l'autorità ingiusta, mentre il cappello di paglia rappresenta la libertà come avventura personale e come ricerca del proprio destino, temi centrali del manga. È una bandiera che non appartiene a partiti né movimenti ufficiali: appartiene ai giovani stessi. Diventa un linguaggio comune che permette di manifestare senza esporsi a simboli politici tradizionali, spesso vietati; una sorta di "scudo culturale" che consente di esprimere dissenso senza immediata criminalizzazione. La sua potenza sta nella capacità di incarnare, in modo universale, l'idea che la libertà non sia un privilegio ma una scelta quotidiana.

Il dato giuridico è chiaro: in molti dei contesti citati, i giovani esercitano diritti garantiti dal diritto internazionale, ma lo fanno in assenza di garanzie effettive. Chiedono ciò che dovrebbe essere già loro, e proprio per questo rendono evidente la fragilità degli ordinamenti in cui vivono. Il diritto, qui, non è solo un insieme di norme: è una promessa mancata, ed è nella mancanza che nasce la spinta rivoluzionaria. La Generazione Z dei Paesi poveri è rivoluzionaria non perché imbraccia armi, ma perché imbraccia i principi: libertà di parola, dignità umana, giustizia sociale, eguaglianza sostanziale. Trasforma la povertà in un pungolo morale, e la propria precarietà in un appello universale.

Questa gioventù ci consegna una lezione che ha valore anche per l'Occidente: la dignità non è mai un dato acquisito, ma un compito costituzionale permanente. È quanto ricorda l'art. 2 della Costituzione italiana, che pone la persona al centro della Repubblica e riconosce diritti inviolabili che nessun potere può comprimere arbitrariamente. I giovani del Congo, del Sudan, del Madagascar, del Myanmar e di Hong Kong, crescendo tra instabilità politica e repressione, affermano con forza che non si può parlare di futuro senza giustizia, né di pace senza libertà. E proprio per questo la loro voce è, oggi, una delle più potenti e credibili nel panorama globale: una voce che nasce nella fragilità ma che parla con l'autorità della dignità umana.