Dazi USA, nuove aliquote di Trump: strategia tattica e incertezza per l’Europa

A poche settimane dall'annuncio iniziale, la strategia tariffaria dell'amministrazione Trump nei confronti dell'Unione Europea subisce un nuovo assestamento. Dopo la riduzione dal 30% al 15%, la Casa Bianca ha diffuso una nuova comunicazione che ridefinisce ancora una volta le aliquote e i settori coinvolti. Un passaggio che conferma l'impostazione protezionista della seconda presidenza Trump, ma che ne rivela anche la natura tattica: il dazio diventa uno strumento modulabile, più simile a una leva di pressione negoziale che a una misura puramente economica.
Secondo il testo dell'aggiornamento, l'aliquota del 15% rimane il riferimento generale, ma viene accompagnata da una serie di variazioni settoriali: per alcuni beni di alta tecnologia e componentistica industriale si ipotizza un prelievo effettivo superiore, mentre per altre categorie – in particolare alcune materie prime e prodotti agricoli strategici per il mercato interno USA – la tariffa potrebbe essere temporaneamente ridotta. La conseguenza è un quadro frammentato e incerto, che rende difficile per le imprese europee pianificare le proprie esportazioni e valutare la convenienza commerciale.
Sul piano giuridico, l'impostazione continua a sollevare dubbi di compatibilità con le norme del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) e con i principi cardine dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), in particolare la clausola della nazione più favorita e il divieto di discriminazione tra partner commerciali. L'amministrazione Trump mantiene come fondamento giuridico interno l'International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), già oggetto di contestazioni negli Stati Uniti e percepito dall'UE come uno strumento distorto per giustificare deroghe unilaterali agli obblighi multilaterali.
La reazione europea è prudente ma ferma. La Commissione ha confermato che le contromisure da 70 miliardi di eurorestano pronte, ma al momento non saranno attivate in attesa di verificare l'effettiva applicazione delle nuove aliquote. Al contempo, è stato riaperto il dossier sullo strumento anti-coercizione, che consentirebbe di rispondere non solo con tariffe equivalenti ma anche con restrizioni in settori strategici come servizi digitali, proprietà intellettuale e appalti pubblici.
I settori più vulnerabili restano invariati: automotive, agroalimentare, moda e farmaceutica. In Italia, in particolare, il rischio è duplice: da un lato il danno diretto all'export, dall'altro la perdita di quote di mercato a favore di concorrenti extraeuropei che godono di condizioni di accesso migliori al mercato statunitense. Le piccole e medie imprese, con minore capacità di assorbire gli shock tariffari, sono quelle più esposte.
L'impressione è che la partita sia tutt'altro che chiusa. Le tariffe si confermano come un terreno di scontro in cui il diritto internazionale fatica a imporsi e dove il potere contrattuale si misura più in termini di forza politica che di coerenza normativa. La vera sfida per l'Europa non è solo resistere all'impatto immediato, ma costruire una politica commerciale comune capace di difendere i propri interessi senza sacrificare i principi di legalità e prevedibilità che dovrebbero regolare il commercio globale.