Dazi americani e agroalimentare sardo: un caso di politica internazionale sul piatto

29.08.2025

Quando le guerre commerciali colpiscono i territori: l'impatto dei dazi americani sull'economia sarda e le strategie di difesa dell'UE.

Quasi la metà dei prodotti agroalimentari sardi — il 48% — finisce negli Stati Uniti. Tra questi, il Pecorino Romano DOP, prodotto per oltre il novanta per cento in Sardegna, rappresenta il simbolo dell'export isolano oltreoceano. Questo primato, tuttavia, si trasforma in un punto di debolezza quando entrano in gioco i dazi: l'imposizione di un'aliquota aggiuntiva del quindici per cento sulle specialità alimentari europee potrebbe comportare perdite fino a ventiquattro milioni di euro per il comparto del Pecorino Romano solo nel mercato americano. Dietro l'apparente semplicità di un formaggio si cela una rete complessa fatta di politiche commerciali, rapporti economici e strategie difensive che coinvolgono produttori, istituzioni e consumatori.

I dazi sono tasse applicate sui beni importati da un Paese straniero. In termini pratici, quando un prodotto arriva negli Stati Uniti dall'Europa, la dogana americana può imporre un costo aggiuntivo che si somma al prezzo finale, rendendolo più caro e quindi meno competitivo rispetto a quello locale. Non si tratta però di semplici strumenti fiscali: i dazi sono utilizzati soprattutto come armi di politica commerciale. Possono avere una funzione protettiva, quando servono a difendere l'industria nazionale da una concorrenza estera ritenuta eccessiva, oppure punitiva, quando diventano strumenti di pressione economica in dispute internazionali. È questo il caso delle tensioni fra Washington e Bruxelles, dove settori del tutto estranei alle dispute originarie sono stati coinvolti come "vittime collaterali".

Il nodo principale risiede nella storica controversia fra Airbus e Boeing. Stati Uniti e Unione Europea si accusano da oltre quindici anni di aver concesso sussidi illegali alle rispettive industrie aeronautiche, con una battaglia giuridica che ha visto l'Organizzazione Mondiale del Commercio condannare entrambe le parti. Nel 2019, l'OMC ha autorizzato gli Stati Uniti a imporre dazi per 7,5 miliardi di dollari sui prodotti europei, colpendo in particolare il settore agroalimentare: formaggi, vini e liquori. Un anno più tardi, è stata l'Unione Europea a ricevere l'autorizzazione a rispondere con dazi su beni americani per 4 miliardi di dollari. La logica è sempre la stessa: non colpire direttamente il comparto aeronautico, ma beni simbolici, ad alta visibilità e di forte valore politico, così da generare pressione interna. In questo quadro, i produttori sardi di Pecorino Romano hanno pagato lo scotto di una contesa fra colossi industriali che nulla aveva a che vedere con il settore caseario.

Il caso sardo è emblematico. Il Pecorino Romano esporta oltre la metà della sua produzione negli Stati Uniti e rappresenta un comparto da circa 170 milioni di euro l'anno. L'applicazione di un dazio fino al quindici per cento sui formaggi europei ha comportato un immediato aumento dei prezzi sugli scaffali americani, fino a un venti per cento in più, riducendo l'accessibilità del prodotto per i consumatori e rendendolo meno competitivo rispetto ad alternative locali. Le conseguenze sono state una contrazione degli ordini, soprattutto da parte dei distributori di media grandezza, e una riduzione dei margini per i produttori, che spesso hanno preferito assorbire parte del costo pur di non perdere quote di mercato. Oltre al Pecorino, anche vini come il Vermentino e il Cannonau e prodotti come l'olio extravergine d'oliva hanno subito pressioni, minacciando anni di investimenti sull'internazionalizzazione e sull'ingresso in mercati complessi come quello statunitense.

Di fronte a questo scenario, il comparto agroalimentare sardo ha reagito mettendo in campo diverse strategie difensive. Alcune aziende hanno scelto di diversificare i mercati di riferimento, puntando su Paesi meno esposti a guerre commerciali come Canada e Giappone. Altre hanno valorizzato ulteriormente le certificazioni DOP e IGP, rafforzando la narrazione identitaria dei prodotti e presentando il prezzo elevato non come un ostacolo, ma come garanzia di autenticità e qualità. Non sono mancati i tentativi di spostare il posizionamento sul segmento del "luxury food", meno sensibile agli aumenti di prezzo. Parallelamente, i consorzi di tutela hanno intensificato il dialogo con Bruxelles per chiedere che i prodotti sardi siano difesi nei tavoli negoziali con Washington.

La questione, tuttavia, va oltre i confini della Sardegna. L'Unione Europea ha assunto una posizione netta, avviando procedure presso il WTO e pubblicando liste di prodotti americani da colpire con eventuali contromisure. Bruxelles ha anche predisposto misure di sostegno economico per i settori più esposti, mentre sul piano strategico punta a rafforzare la resilienza commerciale attraverso accordi con altri partner come Mercosur, Messico, Australia e India. È un approccio multilivello: negoziare, preparare contromisure, diversificare i mercati.

Il Consorzio del Pecorino Romano, dal canto suo, ha cercato di sensibilizzare le istituzioni europee e statunitensi sul carattere unico del prodotto, sottolineando che non esiste un vero equivalente nel mercato americano e chiedendone l'esclusione dai dazi. La cornice giuridica di riferimento rimane quella del WTO, con l'Agreement on Agriculture e il sistema di risoluzione delle controversie che disciplinano la riduzione delle barriere tariffarie e dei sussidi distorsivi. In questo senso, il caso sardo mostra in modo esemplare la tensione costante fra regole multilaterali, interessi geopolitici e vulnerabilità delle economie locali.

In conclusione, la vicenda dei dazi americani sui prodotti sardi rappresenta un caso di scuola su come le dinamiche globali possano incidere direttamente sull'economia di un territorio periferico. È la dimostrazione che le eccellenze agroalimentari, pur radicate nella tradizione e nella cultura di una comunità, restano esposte alle oscillazioni della politica internazionale. Difenderle non è solo una questione economica, ma un tema politico e giuridico che investe l'Unione Europea, il WTO e l'intero equilibrio delle relazioni commerciali transatlantiche.