#COVID19: peggiora le condizioni dei migranti in movimento e modifica le geografie migratorie

09.04.2021

Un nuovo rapporto dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), sostiene che durante il primo anno della pandemia SarsCov_2 ci siano state più di 111.000 restrizioni di viaggio e chiusure delle frontiere in tutto il mondo.

Purtroppo queste misure hanno anche ostacolato i migranti che sfuggono da conflitti, tracolli economici, disastri ambientali e altre crisi.

A metà luglio, quasi tre milioni di persone erano bloccate, a volte senza accesso all'assistenza consolare, o i mezzi necessari per soddisfare i loro bisogni di base.

L'OIM ha affermato che migliaia di persone sono state isolate nella giungla di Panama mentre cercavano di arrivare negli Stati Uniti; un altro esempio è quello dei lavoratori migranti del porto di Beirut che sono stati gravemente colpiti dall'esplosione dello scorso anno e dal conseguente aumento dei casi di COVID-19.

Mentre le persone d'affari hanno potuto continuare a muoversi abbastanza liberamente attraverso le cosiddette "corsie verdi" concordate, come la rete di Singapore con la Malesia; così non è stato per gli sfollati in cerca di alloggio. I lavoratori migranti e rifugiati che si sono trasferiti per necessità hanno dovuto coprire i costi delle quarantene e auto isolamento. Nel primo semestre del 2020, le domande di asilo sono diminuite di un terzo rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. L'OIM pensa che fino a quando l'emergenza pandemica non cesserà le disuguaglianze per chi si muove saranno ulteriormente accentuate, queste sono ancora maggiormente marcate se un soggetto è vaccinato, possiede una cartella clinica digitale e un test negativo a SarsCov_2; requisiti impossibili da produrre per molti migranti. La chiusura delle frontiere ha anche ridotto le alternative dei rifugiati che vivono in campi sovraffollati con alti tassi di infezione da coronavirus, come in Bangladesh e Grecia.

La pandemia ha cambiato gli schemi migratori regionali nell'America Latina. In America meridionale e centrale, i contagi sono in graduale aumento; a febbraio 2021 rappresentavano il 16% di tutti i casi nel mondo, ma non hanno registrato lo stesso picco di nuovi casi in Europa o Nord America negli ultimi mesi dell'anno. Però le caratteristiche di alcune zone dell'America hanno aumentato le conseguenze della pandemia; da subito i sistemi sanitari si sono ritrovati sovraccaricati, l'insicurezza alimentare è notevolmente aumentata, gli alti tassi di urbanizzazione e quindi di sovraffollamento sia in ambito domestico che lavorativo causando focolai, e un'elevata dipendenza da settori colpiti dalla crisi come il turismo che ha provocato un'inestimabile perdita di posti di lavoro. Queste condizioni hanno peggiorato la vulnerabilità dei migranti e la geografia migratoria della regione. Ad esempio, le autorità colombiane stimano che, nonostante l'attuale crisi umanitaria venezuelana e le odierne chiusure delle frontiera, 122.000 venezuelani hanno lasciato la Colombia e sono tornati nel loro paese entro la fine di novembre 2020; dal 2015 oltre 5,4 milioni di venezuelani sono migrati in varie aree latinoamericane. Durante la prima fase della pandemia, i migranti lavoratori come i turisti, sono rimasti bloccati (per mesi) in diversi Stati e non riuscivano a tornare nei rispettivi paesi d'origine; con situazioni sempre più precarie. Alcuni hanno dormito davanti ai loro consolati o hanno trovato un rifugio temporaneo nelle scuole in disuso.

In generale, la situazione dei lavoratori migranti nella regione è peggiorata. I lavoratori domestici sono i più colpiti perché sono esposti ad un elevato rischio di perdita di reddito e, in alcuni casi, licenziati senza essere retribuiti.

Fonte:

https://news.un.org/es/story/2021/04/1490622 

Per altri approfondimenti:

https://publications.iom.int/system/files/pdf/covid-19-and-the-state-of-global.pdf