Quote o parità: Ripartiamo dalle pari opportunità

26.02.2021

Questo è il mio intervento all'evento "Perdendo Quota: Ripartiamo dalle pari opportunità" di Articolo Uno Sardegna, a pie di pagina trovare il video la mia presentazione delle slide e il link dell'evento intero.

L'art. 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani stabilisce che ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese. Purtroppo per le donne di molti Stati questo diritto non viene ancora espletato, Raggiungendo l'equilibrio tra donne e uomini in politica si avrà una democrazia rafforzata e di conseguenza il corretto funzionamento; ne gioverebbe l'uguaglianza, gli interessi delle donne e il progresso femminile nelle società. Senza una reale ed attiva partecipazione delle donne a tutti i livelli dei processi decisionali, non si potranno mai porre in essere parità, sviluppo e pace.

In quasi tutto il mondo il processo di democratizzazione in corso; però le donne sono sottorappresentate a i tutti livelli dell'amministrazione, in particolare nei ministeri e negli altri organi esecutivi, più si sale e più le donne che occupano posti di potere sono sempre meno.

A livello mondiale, le donne hanno solo il 10% dei posti negli organismi legislativi; se si parla di posizioni ministeriali la percentuale si abbassa ancor più.

In tale quadro, il Rapporto della Commissione Europea sull'eguaglianza tra uomini e donne nell'Unione Europea del 2019, rileva che gli Stati e i partiti politici nell'UE hanno introdotto un'ampia gamma di strumenti, comprese quote legislative e volontarie e altre misure, per promuovere le pari opportunità per donne e uomini in politica. C'è una penuria generale di strategie a lungo termine e voglia di cambiamento da parte dei partiti nell'apportare una vera spinta della rappresentanza femminile della politica attiva.

Come viene indicato nel Report della Commissione le quote portano più donne nei parlamenti nazionali, però il processo è lento e non scontato.

Nel novembre 2018, solo 6 dei 28 parlamenti nazionali dell'UE erano guidati da una donna (il 21,4%). In media, i membri del parlamento nell'UE erano il 69,8% di uomini e il 30,2% di donne. Sebbene la proporzione di donne sia a un massimo storico, ancora sette membri su dieci dei parlamenti nazionali dell'UE sono uomini.

Allo stesso tempo, vi è una notevole variazione tra i paesi. I parlamenti di Svezia, Finlandia e Spagna hanno almeno il 40% di ciascun sesso, mentre le donne rappresentano meno di 1 membro su 5 (<20%) nei parlamenti di Grecia, Cipro, Malta e Ungheria (come evidenziato nel grafico 14).

La proporzione di membri di sesso femminile nei parlamenti nazionali dell'UE mono camerali o Camere basse è aumentata di 8,1 punti percentuali tra il 2004 e il 2018, a un tasso medio di appena 0,58 punto percentuale all'anno.

Diversi paesi hanno lanciato iniziative per migliorare l'equilibrio di genere nei loro parlamenti. Attualmente le quote legislative sino in vigore in nove Stati membri: Belgio, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Polonia, Portogallo e Slovenia. Ad eccezione della Croazia, la rappresentanza delle donne è migliorata rispetto al confronto la situazione prima e dopo l'applicazione del contingente. Tuttavia, solo il Portogallo e la Spagna hanno visto l'obiettivo delle quote tradotto in una proporzione equivalente (o quasi) di membri eletti. In tutti gli altri casi, la quota deve ancora essere raggiunta.

L'applicazione della quota per candidati politici è insufficiente per raggiungere la parità di genere. Sono necessarie ulteriori azioni per tradurre la quota dei candidati in risultati elettorali, ad esempio assicurando che le sanzioni per il mancato rispetto della quota siano abbastanza forti e applicabili, che le donne siano inserite equamente nelle liste (ad esempio utilizzando il sistema della chiusura lampo), e che siano rappresentate equamente nei seggi vincibili. Inoltre, il successo a breve termine non è sempre durevole.

Nel novembre 2018, 25 Stati membri dell'UE su 28 avevano un primo ministro uomo, ad eccezione di Germania, Romania e Regno Unito. Inoltre, gli uomini rappresentavano la grande maggioranza (69,5%) dei Ministri con un seggio nel gabinetto, mentre le donne con lo stesso ruolo erano solo il 30,5%. In Svezia, Francia, Germania e Danimarca, i governi erano equilibrati per genere (almeno il 40% di ciascun sesso); in Spagna c'era una netta maggioranza di donne al governo (61,1%). Tuttavia, in tutti gli altri paesi, la maggior parte dei ministri con portafoglio (oltre il 60%) erano uomini. La cosa più sorprendente è che le donne rappresentavano solo il 7,1% dei membri del governo in Ungheria (come si vede nel grafico 16).

Il grafico 17 mostra la proporzione di donne nei governi (alti ministeri), nell'UE a 28 nel periodo dicembre 2004, novembre 2018. Su questo punto mi sarei voluta trattenere di più, però il tempo è tiranno.

A novembre 2018, due terzi (65,9%) di tutti i ministri uomini deteneva un portafoglio con funzioni di base o economiche rispetto alla metà (50,6%) delle ministre donne (come evidenziato nella figura 18). Inoltre, il 40,4% di tutte le ministre aveva un Ministero socio-culturale rispetto a solo il 19,4% dei loro colleghi uomini.

In Italia, i principali dettami che tutelano la parità di genere si trovano in Costituzione. Ai sensi dell'articolo 51, primo comma, della Costituzione, tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. L'articolo 117, settimo comma, Cost. (introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001) prevede inoltre che "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive." L'Analogo principio è stato introdotto negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001. Avrei voluto soffermarmi di più sulle leggi nazionali, liste con preferenze, liste "bloccate" e collegi uninominali; ma stanno terminando i minuti a mia disposizione.

I tradizionali modelli organizzativi dei partiti e delle strutture politiche continuano a costituire una barriera alla partecipazione delle donne alla vita pubblica. Le donne possono essere scoraggiate dal candidarsi alle cariche pubbliche a causa di comportamenti e pratiche discriminatorie, responsabilità familiari e materne, e dell'alto costo necessario per la campagna elettorale e l'esercizio di funzioni politiche.

C'è un dibattito molto controverso sul tema: "quote o parità", io penso che le quote siano necessariamente obbligatorie fino a quando la parità di genere in politica non diventerà una sana consuetudine.

Grazie per l'attenzione!

Per altri approfondimenti:

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