20 novembre – Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza: diritti, tutela e responsabilità dello Stato

20.11.2025

La tutela dei minori come architrave della civiltà giuridica contemporane.

Il 20 novembre è una data che segna una discontinuità nella storia della civiltà giuridica. In questo giorno, nel 1959, le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo e, trent'anni più tardi, nel 1989, la Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1991. Questi documenti non rappresentano soltanto un progresso culturale, ma un salto normativo che ha imposto agli Stati il dovere di concepire bambini e adolescenti non come soggetti da proteggere in modo paternalistico, bensì come titolari autonomi di diritti fondamentali, dotati di dignità e personalità giuridica. La Convenzione sancisce nell'articolo 3 il principio dell'interesse superiore del minore, vero perno interpretativo dell'intero sistema, che obbliga istituzioni, giudici, legislatori e servizi sociali a privilegiare in ogni decisione ciò che meglio garantisce benessere, sviluppo e protezione dell'età evolutiva. È un principio che si innesta armoniosamente sulla nostra Costituzione, nei suoi articoli 2, 3, 30, 31 e 32, i quali compongono un mosaico che attribuisce alla Repubblica una missione di cura e promozione dell'infanzia come fondamento stesso della democrazia.

Nonostante questa architettura normativa sia tra le più avanzate al mondo, la distanza tra principi e realtà resta drammaticamente evidente. In molte regioni del pianeta milioni di minori subiscono violenze domestiche, sfruttamento lavorativo, matrimoni forzati, mutilazioni genitali, arruolamento nei conflitti armati, privazione dell'istruzione e assenza di cure mediche adeguate. Tutto questo avviene in aperta violazione degli articoli 19, 24, 28, 32, 34 e 38 della Convenzione e dei Protocolli opzionali del 2000. Tali violazioni non sono incidenti isolati, ma fenomeni sistemici che richiedono cooperazione internazionale, impegno politico e investimenti strutturali. La CRC stessa, negli articoli 4 e 24, ricorda agli Stati che l'attuazione dei diritti dei minori non può essere un esercizio retorico, ma un'opera continua, programmata e sorretta da risorse adeguate. L'infanzia è anche la prima vittima delle guerre contemporanee: lo vediamo nei conflitti in Medio Oriente, nel Sahel, in Myanmar, nel Sudan, dove i minori subiscono bombardamenti, fame, sfollamento e sfruttamento da parte di gruppi armati. Qui il diritto internazionale umanitario e la Convenzione sui Diritti dell'Infanzia si incontrano, ma troppo spesso rimangono senza tutela effettiva.

Le democrazie più consolidate non sono immuni da forme più sottili ma altrettanto lesive di violazione dei diritti dei minori. La povertà educativa, la dispersione scolastica, la mancanza di servizi di salute mentale, i divari territoriali – soprattutto nel contesto italiano – sono ferite aperte che contraddicono gli articoli 3 e 31 della Costituzione. Il diritto allo studio, sancito dall'art. 28 CRC, non si esaurisce nella mera frequenza scolastica, ma comprende la qualità dell'insegnamento, la parità di accesso e la possibilità per ciascun bambino di sviluppare i propri talenti. La povertà educativa è una forma di violenza istituzionale invisibile, perché sottrae futuro, opportunità e pari dignità. L'Italia, con i suoi divari territoriali, dovrebbe considerarla una priorità assoluta, perché la scuola è il cuore della rimozione degli ostacoli prevista dall'articolo 3 Cost.

Un capitolo particolarmente sensibile riguarda i minori nel contesto migratorio. La Convenzione vieta ogni forma di discriminazione (articolo 2), tutela il diritto all'identità (art. 8) e il ricongiungimento familiare (art. 10), e afferma che la detenzione dei minori deve essere misura eccezionale e di durata minima. Tuttavia, nella pratica europea, e talvolta italiana, i minori migranti non accompagnati affrontano ritardi nelle procedure di identificazione, collocamenti provvisori, rischi di tratta, percorsi scolastici frammentati e fragilità nei sistemi di accoglienza. La tutela effettiva dei minori migranti rappresenta un parametro di serietà democratica, perché nell'infanzia migrante convergono vulnerabilità fisiche, psicologiche, giuridiche e culturali. Garantire protezione significa dare significato concreto agli articoli 2, 3 e 12 CRC e riaffermare la centralità dell'art. 117 Cost., che vincola la legislazione al rispetto dei trattati internazionali.

Il diritto del minore a essere ascoltato, sancito dall'articolo 12 CRC, è una delle norme più rivoluzionarie e al tempo stesso meno implementate. Spesso si ritiene che bambini e adolescenti non abbiano voce nei processi decisionali che li riguardano, ma la Convenzione stabilisce il contrario: il minore non deve essere "consultato" come atto formale, ma ascoltato come soggetto capace di esprimere opinioni rilevanti. Una democrazia che non ascolta i suoi bambini è una democrazia incompleta. In questo senso, consulte giovanili, percorsi partecipativi, rappresentanze scolastiche potenziate e spazi istituzionali per il confronto sono strumenti necessari per realizzare un modello che rispecchi davvero il principio dell'interesse superiore del minore.

La sfida più complessa e moderna della tutela minorile è però quella digitale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha mostrato dati inequivocabili: l'esposizione precoce e prolungata agli schermi provoca disturbi del sonno, riduzione dell'attività fisica, incrementi di ansia, difficoltà di concentrazione, irritabilità, e interferenze negative nello sviluppo delle funzioni cognitive. In Europa, molti bambini sotto i dieci anni trascorrono quotidianamente tempi di esposizione ben superiori alle due ore, mentre gli adolescenti vivono in una condizione di iperconnessione che genera sovrastimolazione emotiva, comparazione sociale patologica e rischio di comportamenti autolesivi. L'OMS segnala un aumento dei disturbi d'ansia e dei comportamenti a rischio correlati alla fruizione invasiva di contenuti digitali. La vulnerabilità digitale è dunque una nuova vulnerabilità sanitaria. L'articolo 24 CRC, che garantisce il diritto alla salute fisica e mentale, deve essere interpretato in modo evolutivo: la salute mentale dei minori passa oggi anche attraverso la regolamentazione delle piattaforme, la trasparenza degli algoritmi, la protezione dei dati personali e il contrasto alla profilazione commerciale aggressiva. La recente normativa europea, come l'AI Act e il Digital Services Act, impone cautele rafforzate per le tecnologie che interagiscono con minori, ma l'efficacia di queste norme dipenderà dalla capacità degli Stati, Italia inclusa, di implementarle con rigore.

La giustizia minorile italiana rappresenta una buona pratica riconosciuta a livello comparato. Il D.P.R. 448/1988 ha dato attuazione alla CRC costruendo un modello processuale fondato su educazione, ascolto, proporzionalità e accompagnamento. Nella giurisdizione penale minorile non prevale la logica afflittiva, bensì quella responsabilizzante; nella giurisdizione civile e amministrativa, l'ascolto del minore e la valutazione tecnica qualificata sono strumenti essenziali per garantire un processo realmente giusto. La tutela giudiziaria non è un aspetto tecnico, ma un presidio di civiltà: è la garanzia che la vulnerabilità non diventi abuso di potere.

Il quadro complessivo conduce a un'affermazione ineludibile: la tutela dell'infanzia non è un'opzione etica né un auspicio politico, ma un dovere giuridico della Repubblica. L'articolo 117 Cost. vincola lo Stato al rispetto dei trattati; la Convenzione sui diritti dell'infanzia non è un riferimento retorico, ma un parametro di legittimità per leggi, politiche e prassi. La civiltà di un ordinamento si misura dalla protezione accordata ai suoi minori. Un Paese che non garantisce salute, istruzione, sicurezza, ascolto e dignità ai bambini tradisce la sua Costituzione e compromette il proprio futuro.

Il 20 novembre non è una ricorrenza celebrativa: è una verifica collettiva di coscienza democratica. Ogni bambino escluso dalla scuola, ogni adolescente vittima di violenza digitale o fisica, ogni minore migrante senza protezione, ogni piccolo costretto a rinunciare alla salute mentale o fisica per carenze istituzionali rappresenta un fallimento che non può essere normalizzato. Difendere l'infanzia significa proteggere il presente e costruire un futuro che non sia solo più prospero, ma più giusto. Nessuna Repubblica può dirsi civile se non tutela con cura, rigore e lungimiranza la parte più fragile e luminosa del proprio popolo.